Nei campi è allarme manodopera. "Rinnoviamo i contratti i voucher non sono la soluzione"
gio 25 marzo 2021Fonte: Primo Giornale https://primoweb.it/download/2021/PGEstVr_24-03-21.pdf
È nuovamente allarme manodopera per la stagione agricola in arrivo nel Veronese. Il motivo, però, non starebbe solo nelle misure di contenimento per l’emergenza Covid, come accaduto lo scorso anno o nella quota di extracomunitari troppo bassa assegnata al Veneto. Ma soprattutto nella paga oraria, ferma ai 6/7 euro l’ora, che continua a tenere lontani gli italiani e che sta spostando verso altri Paesi anche gli stagionali comunitari.
Questo, però, si scontra con l’eterno problema del rapporto tra prezzo pagato al produttore e valore delle merci nella Grande distribuzione.
«È ora di finirla con questa “bolla” dell’impossibilità per le aziende agricole di trovare manodopera per la raccolta stagionale. La verità è che se il contratto provinciale è scaduto da un anno e le retribuzioni sono ferme a paghe da fame: è chiaro che sono pochi quelli che accettano questi lavori, e sempre meno qualificati - spiega Giuseppe Bozzini, segretario regionale della Uila Uil -. Le misure anti Covid hanno bloccato solo una parte dei lavoratori extracomunitari, in particolare marocchini, ma parliamo di un 20% che era tornato nel Paese d’origine, perché l’80% è rimasto qui. E per i comunitari, se lo scorso anno dovevano sottoporsi alla quarantena all’arrivo e poi al ritorno in patria, oggi basta un tampone».
«La verità è che per salvare tutta la nostra agricoltura servirebbero un salario minimo europeo, perché non è pensabile che in Italia l’imprenditore abbiamo un costo di oltre 1000 euro ed in Polonia un lavoratore agricolo venga pagato 180 euro al mese; e un prezzo al produttore equo, perché non è possibile che il valore del latte alla stalla sia pressoché fermo a 35 anni fa mentre quello allo scaffale sia quadruplicato - risponde il presidente di Confagricoltura Verona, Paolo Ferrarese -. Tornando agli stagionali, io sarei il primo a voler dare loro un salario più adeguato, ma la realtà è che vi sono coltivazioni dove i margini per l’imprenditore praticamente non esistono più. Tanto che stiamo rischiando di perdere alcune produzioni. Per esempio nel Veronese in pochi anni abbiamo perso il 50% dei terreni coltivati a kiwi e pesche, con la concorrenza dei Paesi dell’Est Europeo che ci sta sottraendo quote di mercato. Riguardo poi agli italiani, l’anno scorso abbiamo provato ad offrire loro lavori stagionali, per esempio nella raccolta delle fragole, ma si partiva con una squadra di 10 e dopo tre giorni ne rimanevano si e no 4. Non c’è più quell’attitudine ad un certo tipo di lavoro che ha, invece, chi arriva da Est Europa e Nord Africa».
Temi non da poco in un settore dove il 32% degli operai è straniero. A complicare la situazione si aggiunge che la maggioranza delle domande di regolarizzazione presentate dai lavoratori stranieri, secondo la sanatoria dell’ex ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, non è ancora stata esaminata dalle Prefetture.
«Il problema è comunque legato anche alla cronica inadeguatezza delle quote dei lavoratori stranieri - interviene Maria Pia Mazzasette della Flai Cgil -. I numeri sono sottostimati da tempo, basti pensare che nel 2019 pre-Covid la richiesta delle aziende veronesi era di 1200 lavoratori ma la quota autorizzata dal Ministero dell’Interno e stata solo di 300. A questo, aggiungiamo che molti lavoratori lo scorso anno sono rientrati nei Paesi d’origine per sfuggire alla pandemia ed oggi non riescono più a tornare a causa dei blocchi alle frontiere sempre per il Covid».
«Sul salario in agricoltura è chiaro che esiste un grande tema legato al prezzo pagato al produttore e quindi al rapporto con Grande distribuzione organizzata e industria agroalimentare - riprende Bozzini -. Siamo noi i primi a denunciarlo e su questo siamo a fianco delle imprese agricole. Ma non è accettabile che si continui a scaricare tutto sul costo del lavoro, creando tra l’altro situazioni poco chiare e rischiando di alimentare il caporalato».
«È evidente che in qualche modo, poi, questi lavoratori arrivano perché la frutta e la verdura non possono rimanere nei campi - si allaccia Mazzasette -. Ed allora è altrettanto chiaro che finiamo per alimentare il lavoro irregolare, il caporalato, come sempre più spesso stanno dimostrando alcune operazioni della Magistratura e delle Forze dell’Ordine».
«Per poter lavorare abbiamo bisogno del ripristino dei voucher, o chiamateli come volete - riprende Ferrarese -. È lo strumento che ha permesso alle imprese di regolarizzare in un modo sostenibile economicamente il rapporto di lavoro stagionale. Non è pensabile, infatti, che per una campagna di 15 giorni l’imprenditore si assuma i costi di un contratto normale. I voucher, tra l’altro, ci hanno permesso di dare lavoro anche a disoccupati, studenti, pensionati italiani, attraverso le piattaforme istituzionali, come Agribi, l’ente bilaterale per l’agricoltura che ha attivato appositamente un canale web di offerta e ricerca di lavoro agricolo».
«I voucher sono solo uno strumento, non certo la soluzione del problema - ribattono all’unisono Bozzini e Mazzasette -. Il tema vero resta quello del salario minimo che in agricoltura è fermo da 20 anni mentre il costo della vita è salito del 15-20%. L’agricoltura deve mettersi ad un tavolo e discutere seriamente di questi problemi. Oggi il Governo ha dato nell’ultimo Decreto Draghi, contributi importanti alle imprese agricole e ne ha defiscalizzato il lavoro. Quindi è il momento che gli imprenditori agricoli affrontino assieme al sindacato i nodi irrisolti del prezzo alla produzione e del salario minimo dei lavoratori. E che questi debbano essere temi da estendere a livello di Comunità Europea siamo tutti d’accordo».