Manifestazione Unitaria a Bari, agricoltori in corteo «Nuovo contratto e lotta al caporalato»
dom 26 giugno 2016
BARI - Un lavoro regolare, tutelato ed equamente compensato: lo hanno chiesto i braccianti e gli operai agricoli che questa mattina a Bari sono scesi in piazza in occasione della manifestazione nazionale indetta da Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil per dire no al caporalato, allo sfruttamento del lavoro in agricoltura e per il rinnovo dei contratti provinciali di lavoro. Ad aprire il corteo di oltre quindicimila persone (secondo i sindacati) i segretari generali di Fai, Flai e Uila, Luigi Sbarra, Ivana Galli e Stefano Mantegazza.
«Chiediamo al governo di passare dalle parole ai fatti dopo tante chiacchiere ed annunci perché - ha spiegato Sbarra parlando con i giornalisti - dai tragici avvenimenti di un anno fa con i tredici morti sui campi abbiamo un quadro legislativo e normativo sostanzialmente immutato. L’unico atto è stato quello di approvare un decreto che allarga utilizzo dei voucher in agricoltura. Questo strumento - ha aggiunto Sbarra - è un caporale di carta che porta ad avere gente sfruttata senza diritti, tutele e indennità. Serve invece costruire una grande alleanza contro fenomeno antico che può essere fermato e debellato».
«Chiediamo di fare presto - ha sottolineato Galli - nell’approvazione del decreto legislativo (Ddl 2217 contro il caporalato, ndr) che è andato al Senato nel gennaio del 2016 , firmato da 5 ministri e che contiene norme importanti frutto di proposte avanzate unitariamente dai sindacati già da qualche anno. Il protocollo firmato il 27 maggio con 3 ministri, che interviene in 7 province (Bari, Lecce e Foggia tra queste, ndr) la dice lunga di come il fenomeno del caporalato sia strutturato, di come un’economia malata e parallela vive sfruttando le persone».
«Siamo qui per spiegare al governo che la maggioranza delle assunzioni - ha detto Mantegazza - sono precarie, che i voucher hanno segnato un 154% in più rispetto allo scorso anno e che solo in agricoltura ci sono 400mila lavoratori in nero. Sono numeri sufficienti per dire che bisogna cambiare l’Italia e approvare rapidamente leggi che riportino legalità, trasparenza e sicurezza nel nostro Paese».
PRESENTE MARITO DI BRACCIANTE MORTA - «Sono qui nonostante il mio profondo dolore, nonostante i miei timori, la mia emozione, le ferite nel mio contesto familiare, sono qui in questa grande manifestazione per di dire no allo sfruttamento del lavoro in agricoltura». Lo ha detto ai giornalisti Stefano Arcuri, marito di Paola Clemente, la bracciante di 49 anni morta nei campi il 13 luglio dello scorso anno mentre era al lavoro in un vigneto per l'acinellatura dell’uva. Arcuri è intervenuto oggi a Bari sul palco del comizio, allestito in occasione della manifestazione nazionale indetta da Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil per dire no al caporalato, allo sfruttamento del lavoro in agricoltura e per il rinnovo dei contratti provinciali di lavoro.
«La mia dolorosa esperienza serve a spiegare perché - ha detto Arcuri che viveva con sua moglie ed i suoi tre figli a San Giorgio Jonico, a 300 chilometri circa di distanza da Andria dove Paola Clemente ha perso la vita - è importante avere un contratto e soprattutto perché occorre opporsi al caporalato». Arcuri ha poi ribadito le dure condizioni di lavoro delle braccianti, assunte da agenzie interinali per conto delle aziende, del «misero guadagno, 27 euro al giorno, per molte ore di lavoro». A gennaio scorso l’esito dell’autopsia e degli esami tossicologici hanno stabilito che fu una cardiopatia la causa della morte della 49enne bracciante agricola, una delle 13 vittime che hanno funestato la categoria nel 2015.